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ARTI MARZIALI

SAMURAI

Il samurai é certamente la figura più affascinante di guerriero; la sua influenza é stata di notevole importanza non soltanto per la storia militare del Giappone, ma anche per la cultura stessa del Paese, tanto da generare rispetto e venerazione ancora oggi.

Nel dizionario giapponese – portoghese compilato dai gesuiti nel 1603, il termine samurai, derivato dal verbo saburau (servire, oppure tenersi al lato), indicava un uomo d’onore, di rispetto, ed anche una precisa classe sociale; con il termine bushi si indicava, invece, il soldato o guerriero.

Durante il feudalesimo giapponese si erano venuti a creare due classe di potere ben distinte; l’Imperatore (simile ad una divinità perché investito del potere dal cielo) e l’aristocrazia di corte raramente esercitavano il potere, occupandosi della cultura e degli affari civili del Paese. Il potere finÏ per andare nelle mani di clan familiari e potenti egemoni militari, lo Shogun (Generalissimo) prima di tutto, i Daimyo (i signori che si occupavano delle concessioni feudali) e i Samurai.

Ciò che distingueva il samurai dal guerriero comune era la sua scelta incondizionata di rispettare le precise regole morali, etiche e pratiche del bushido (bushi = guerriero, do = via, letteralmente via del guerriero), il codice segreto tramandato dapprima oralmente e poi messo per iscritto da Tsuramoto Tashiro. Nel testo intitolato Hagakure (“all’ombra delle foglie”), lo scrittore ha raccolto le regole del monaco e samurai Yamamoto Tsunemoto.

Nel bushido si ritrova tutta la vita di un samurai: le influenze del confucianesimo si mescolano con quelle dello scintoismo, l’antichissima religione del Giappone, con la filosofia Zen e con la pratica delle arti marziali.

La devozione e la lealtà al proprio superiore sono le caratteristiche fondamentali del samurai. Il rapporto signore – samurai legava in maniera duratura i due contraenti; nel X secolo, durante la cerimonia di investitura, il giuramento veniva scritto con un pennello intriso del sangue del samurai, e il timbro finale era apposto con l’impronta di un dito ferito. Il signore ricompensava con possedimenti fondiari il samurai che si impegnava al suo servizio.

Il samurai era sempre pronto a donare la propria vita e quella della sua famiglia per il suo superiore; si creava tra i due un patto di sangue, nel quale il samurai disprezzava la propria vita in nome dell’onore e della lealtà. L’abnegazione e il sacrificio erano impartiti come valori essenziali già nella tenera età.

Durante la sua vita, il samurai imparava a mettere sullo stesso piano la vita e la morte; l’atteggiamento giapponese nei confronti della morte diventava positivo, poiché la vita esiste in quanto c’é morte. Lo Zen praticato dai samurai invitava ad abbandonare i condizionamenti, a raggiungere il vuoto mentale, a superare se stessi per andare oltre la vita e la morte.

Anche il suicidio aveva una precisa rilevanza etica; sin da piccolo il samurai era abituato a considerarsi un uomo a cui la vita non apparteneva. Nell’Hagakure il suicidio era contemplato come atto supremo per evitare il disonore. E’ famoso a tal proposito il gesto dei 47 samurai che si suicidarono dopo aver vendicato il loro superiore.

A partire dal XVII secolo il suicidio venne codificato in precise regole. Il rituale del seppuku, detto anche hara-kiri, prevedeva che il samurai si ritirasse in una stanza insieme ad un assistente; il samurai si inginocchiava su un cuscino bianco, l’assistente ad un metro di distanza. il samurai estraeva la spada corta (wakizashi) o il pugnale (ko-gatana) e pratica un taglio sul ventre da sinistra a destra. Se le forze lo permettevano, il taglio procedeva verso l’alto. L’assistente aveva il compito di decapitare il samurai per evitargli un’atroce agonia.

In questo preciso rituale, era un grande onore per l’assistente partecipare al seppuku.

In alcuni casi i samurai senza signore restavano indipendenti, diventando terribili mercenari pronti a servire chiunque oppure legandosi in bande per saccheggiare città e villaggi. I Ronin (uomini onda) furono spesso utilizzati dai signori feudali per impossessarsi del potere.

I samurai erano grandi conoscitori e praticanti di bujutsu, ossia di tecniche di combattimento individuali. Queste tecniche, diventate nei secoli spietate arti, erano praticate sia a mani nude (karate, jujutsu, sumo, etc.) che con armi (spada, arco, lancia, ventaglio, jitte, etc.).

L’armatura del samurai era leggera e molto pratica, fatta di cuoio e maglie metalliche intrecciate. Caratteristiche erano l’elmo e la maschera, usata in battaglia per rendere i guerrieri simili a demoni o animali.

L’arma che contraddistingue il samurai da ogni altro combattente é senz’altro il katana, la spada fatta di segrete miscele di acciai morbidi e duri. I costruttori seguivano precisi rituali, ed erano tenuti in altissima considerazione in tutto il Paese.

La spada era per il samurai molto più di un’arma; rappresentava il cuore del guerriero, il suo coraggio e la sua lealtà.

Nonostante la restaurazione Meiji abbia di fatto messo fine al potere dei samurai intorno al 1876, la cultura e i costumi di questa classe sono stati assorbiti dal Giappone moderno e contemporaneo.