FRANCESCO DE PINEDO
L’attuale supremazia degli
Stati Uniti nel campo aerospaziale, potrebbe portare molti di noi a
creder che l’Italia non abbia mai avuto un ruolo importante in questo
settore. Risalendo indietro nella storia, la realtà ci dice invece che
già nel 1925 l’’Italia era la prima nazione ad impiegare mezzi a scopo
bellico e poteva vantare un’aviazione bellica imponente con ben 1.311
aerei, seconda solo alla Francia.
Molti sono stati i grandi nomi
che si sono succeduti negli anni tra coloro che venivano considerati
gli eroi dell’aria, e così tra Balbo, D’Annunzio e Umbro Nobile, spunta
anche la figura di Francesco De Pinedo, uno tra i primi aviatori ad
attraversare l’Atlantico.
Francesco De Pinedo nasce a
Napoli da una famiglia benestante il 16 febbraio 1890. Da adolescente
studia letteratura, arti e soprattutto musica, una passione alla quale
rimane legato tutta la vita, al punto di portare con sé un grammofono
e dei dischi anche durante il raid delle due Americhe.
Fedelissimo al rigore richiesto
dal codice di comportamento dell’ufficiale della Regia Marina, De Pinedo
è molto diverso dagli altri aviatori, non ama il rischio non si può
definire uno scapestrato e cerca sempre di mantenersi distante dalle
funzioni pubbliche, anche quando sono in suo onore.
Arruolatosi nella Regia Marina
a soli 18 anni, dopo sei anni di servizio, De Pinedo comincia a sviluppare
la sua voglia d’avventura e la sua passione per l’aereo; ottiene in
due mesi il brevetto di pilota e durante la guerra passa alla nuova
arma della Regia Aeronautica, con il grado di tenente colonnello.
In pochi anni si guadagna promozioni
e onorificenze ed un buon posto al Ministero; a soli 33 anni ha già
una carriera invidiabile. Ma il suo amore per il cielo per il viaggio
non si esaurisce; decide allora di convincere i suoi superiori ad affidargli
missioni importanti anche per dimostrare la superiorità dell’aviazione
italiana.
Il governo incoraggia e finanzia
dunque diversi raid nelle città europee e in altri paesi del mondo;
uno dei più importanti viene compiuto nel 1920 da Artuto Ferrarin e
Guido Masiero che completano un viaggio di 11.000 miglia a Tokjo.
De Pinedo prende spunto dai
suoi colleghi e progetta un volo da 34.000 miglia in un S16 della Savoia-Marchetti,
collegando Tokjo, l’Australia e Roma.
L’S16 è un idrovolante a quattro
posti due dei quali sostituiti da serbatoi ausiliari e parti di ricambio.
Il veivolo viene battezzato "Gennariello" in onore a San Gennaro e al
nome segue la scritta scaramantica "Ibis redibis", vale a dire "vado
e torno".
Come compagno di viaggio De
Pinedo sceglie Ernesto Campanelli, ed insieme partono da Sesto Calende
il 20 aprile 1925.
Il raid non si preannuncia
dei più facili, l’idrovolante non è un mezzo molto affidabile e i due
aviatori sono costretti quasi da subito a fare i conti con problemi
meccanici e dirottamenti ed atterraggi in posti non provvisti di rifornimenti
a causa delle condizioni atmosferiche sfavorevoli. Tutti inconvenienti
che rallentano l’andatura del volo ma non impediscono a De Pinedo e
Campanelli di portare a l’impresa, rientrando nel tempo previsto a Roma.
Folle entusiaste accolgono
il ritorno a casa del colonnello Francesco De Pinedo, che riceve in
breve sia il titolo di marchese dal re Vittorio Emanuele, sia la sua
prima medaglia d’oro dalla Federation Aeronautique Internazionale, la
più importante entità mondiale per gli sport aerei.
Il secondo grande raid di De
Pinedo viene incoraggiato dallo stesso Mussolini, orgoglioso di poter
diffondere la cultura e il mito della bell’Italia soprattutto in nord
America.
Questa volta la rotta per la
nuova avventura De Pinedo la inizia a Bonomia nella Ghinea portoghese
dopo aver toccato le coste dell’Africa e parte del Marocco. Il viaggio
prosegue fino a Bueno Aires, poi attraverso le giungle brasiliane, attraversando
gli stati Uniti, giungendo in Canada, ultima tappa prima di riattraversare
l’Atlantico per il ritorno a Roma. Un viaggio che conta più di 27.000
miglia e 4 continenti.
De Pinedo non è ancora sazio
della voglia di volare, così passa poco tempo e si rivolge un’altra
volta alla Savoia – Marchetti che gli fornisce un nuovo idrovolante,
un S55, un catamarano con doppia carlinga fornito di due motori accoppiati
linearmente. De Pinedo lo battezza con il nome "Santa Maria", lo stesso
nome della caravella con la quale Colombo aveva scoperto l’America.
IL RAID DELLE DUE AMERICHE
Questa volta al viaggio si
aggrega un altro aviatore: il capitano Carlo del Prete, e la parte meccanica
viene affidata al sergente Vitale Zacchetti.
Da Sesto Calende la Santa Maria
decolla verso Cagliari, base di partenza per il raid delle due Americhe.
Il volo ufficiale inizia il 13 febbraio 1927; in due giorni l’equipaggio
raggiunge Boloma, ma poi sempre a causa delle scarse condizioni del
tempo e di alcuni problemi di ordine tecnico, decidono di ripartire
da Capo Verde; dopo 15 ore ed un fallito atterraggio sulla costa brasiliana,
De Pinedo e i suoi colleghi raggiungono l’isola Fernando de Noromha
terminando la traversata atlantica. De Pinedo inizia il tour americano
tra bagni di folla e approvazioni politiche; arriva persino a Buenos
Aires, dove riceve gli onori del presidente della repubblica Argentina,
Máximo Marcelo Torcuato de Alvear, grande appassionato di aviazione che chiede addirittura
a De Pinedo di poter salire a bordo della Santa Maria. Un altro grande
successo per questo "re dei cieli" made in Italy.
Il volo riprende così da Nord,
dopo il pericolo scampato sorvolando le giungle del sud America, de
Pinedo giunge a Cuba e poi a new Orleans: è il 29 marzo, una data storica,
la prima volta che un pilota straniero tocca il suolo americano. Breve
sosta e poi ancora in volo verso il Texas e l’Arizona. De Pinedo e i
suoi compagni sono partiti da 45 giorni dall’Italia. In Arizona un triste
evento attende gli aviatori italiani. Durante un banchetto di benvenuto,
uno scoppio improvviso richiama l’attenzione verso il lago dove è attraccato
l’idrovolante. Pochi istanti per realizzare che quella che brucia è
proprio la Santa Maria, vittima non di un sabotaggio ma di un futile
e banale errore umano; John Thomason un giovane assistente al rifornimento
confessa infatti di aver gettato la cicca di una sigaretta nell’acqua
proprio vicino alla Santa Maria, senza accorgersi del velo di benzina
che galleggiava in superficie.
Accompagnati da un aereo della
marina americana, De Pinedo e i suoi compagni di viaggio si muovono
verso san Diego, in attesa del nuovo aereo che Mussolini ha fatto costruire
sempre dalla Savoia – Marchetti, e spedire a New York. E proprio nella
Grande Mela, gli aviatori italiani arrivano il 25 aprile, tra l’entusiasmo
della comunità italo – americana e l’accoglienza del sindaco Jimmy Walzer.
La nuova "Santa Maria, arriva il primo maggio, i tecnici impiegano poco
tempo a riassemblare tutti i pezzi sotto gli occhi vigili di De Pinedo.
L’aereo è identico a quello andato perduto, le uniche differenze sono
nelle scritte che compaiono su di una delle due ali; oltre agli autografi
dei lavoratori italiani che l’ hanno costruita, appare infatti il motto
della mitologica fenice, "post fata resurgo", a sottolineare come anche
la Santa Maria, dopo essere stata consumata dalle fiamme, risorge dalle
sue ceneri.
Il volo riparte, con un mese
di ritardo e la voglia di de Pinedo di completare al più presto la sua
impresa, prima che ad emularlo si cimentino altri giovani aviatori americani,
come l’ancora sconosciuto Charles Linderbergh di cui parlano tutti i
giornali più importanti. New York, poi Boston, Philadelphia, Charleston,
poi Memphis, St.Lous, Chicago, Terranova e poi dopo Spagna e Portogallo
finalmente l’Italia, con l’arrivo ad Ostia.
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