Correre nel verde Nautica: navigazione, imbarcazioni, diporto e storia della marineria - Correre nel verde direttore responsabile Giorgio Gandini


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NAUTICA

MITI E LEGGENDE DEL MARE

Scilla e Cariddi

Se è vero che l’attraversamento del mare rappresenta il superamento di qualcosa di ignoto e quindi di terribile, ancor più pericoloso doveva esser il superamento di un Stretto dove delle correnti diverse potevano sballottare il naviglio da una parte o dall’altra e dove la visuale da una terra a l’altra dava la concreta idea del superamento di un confine.

Successe così che, per gli antichi marinai, lo stretto di Messina, fosse abitato da due terribili mostri: Scilla e Cariddi.

Sulla punta della Calabria, troviamo Scilla (il significato greco del nome è: colei che dilania). Prima di diventare un mostro marino, Scilla era una ninfa, figlia di Forco e Ceto.

Secondo la leggenda, Scilla viveva in Sicilia, ed aveva la passione di andare sulla spiaggia di Zancle e fare il bagno.

Una sera, mentre la ninfa era sulla  spiaggia, vide apparire dalle onde Glauco, il figlio del dio Poseidone, un dio marino metà uomo e metà pesce. Scilla, terrorizzata alla sua vista, si rifugiò sulla vetta di un monte che si trovava vicino alla spiaggia. Il dio, infatuato dalla visione di Scilla, iniziò ad urlarle il suo amore, ma la ninfa continuò a fuggire,  lasciando il poveretto solo con il dolore per un amore non corrisposto.

Glauco, senza darsi per vinto, andò all'isola di Eea dove aveva dimora la maga Circe chiedendole un filtro d'amore. Circe, innamorata del giovane dio, gli propose di lasciar perdere ed accettare invece il suo amore.

Glauco si rifiutò, confermando il suo amore per Scilla. Circe, furiosa per essere stata respinta, decise di vendicarsi sulla giovane ninfa.

Quando Glauco fu lontano, la maga preparò una pozione per vendicarsi dell’affronto subito  e si recò presso la spiaggia di Zancle, senza essere vista, versò il filtro in mare e ritornò alla sua dimora.

Scilla arrivò sulla spiaggia per fare un bagno. Appena entrata nell’acqua vide crescere intorno a sé delle mostruose teste di cani. Spaventata fuggì al largo, ma si accorse che i cani la seguivano dato che erano il frutto del filtro di Circe. Si rese conto allora che sino al bacino era ancora una ninfa ma al posto delle gambe, attaccati al resto del corpo con un collo serpentino, spuntavano sei musi feroci di cani. Per l'orrore Scilla andò a vivere nella cavità di uno scoglio che da lei prese il nome.

 

Cariddi (dal greco: colei che risucchia) nella mitologia greca era un mostro marino che prima beveva enormi quantità di acqua e poi le sputava. Secondo la leggenda, Cariddi, era figlia di Poseidone, dio del mare e Gea dea della terra.

Cariddi faceva  delle rapine ed era famosa soprattutto per la sua ingordigia.

Un giorno, la giovane ladra, rubò ad Eracle i buoi di Gerione per mangiarne qualcuno. Zeus, per punirla del saccheggio, la fulminò facendola cadere in mare. Per mantenerla in vita, Cariddi venne trasformata in un mostro che formava un vortice marino, così potente da inghiottire le navi, per poi risputarne i resti, che passavano vicino a lei.

La leggenda pone la tana del mostro presso uno dei due lati dello stretto di Messina, di fronte all'antro del mostro Scilla.

Le navi che passavano per lo stretto di Messina, così, erano obbligate a passare vicino ad uno dei due mostri.

Nella realtà, in quel tratto di mare si trovano davvero  vortici potenti causati dall'incontro delle correnti marine. Se al giorno d’oggi si volesse visitare il nascondiglio di Cariddi, dovrebbe andare sulla punta messinese della Sicilia, a Capo Peloro.

Cariddi è menzionata anche nel canto XII dell'Odissea di Omero, in cui si narra che Ulisse preferì affrontare Scilla, per paura di perdere la nave passando vicino al gorgo.

Anche Virgilio nella sua Eneide, fa menzione dei due mostri.

Odissea libro XII

Là dentro Scilla vive, orrendamente latrando:
  la voce è come quella di cagna neonata,
  ma essa è mostro pauroso, nessuno
  potrebbe aver gioia a vederla, nemmeno un dio, se l'incontra.
  I piedi son dodici, tutti invisibili:
e sei colli ha, lunghissimi: e su ciascuno una testa
  da fare spavento; in bocca su tre file i denti,
  fitti e serrati, pieni di nera morte.
  Per metà nella grotta profonda è nascosta,
  ma spinge le teste fuori dal baratro orribile,
e lì pesca, e lo scoglio intorno intorno frugando
  delfini e cani di mare e a volte anche mostri più grandi
  afferra, di quelli che a mille nutre l'urlante Anfitrìte.

(...)

  L'altro scoglio, più basso tu lo vedrai, Odisseo,
  vicini uno all'altro, dall'uno potresti colpir l'altro di freccia.
  Su questo c'è un fico grande, ricco di foglie:
  e sotto Cariddi gloriosa l'acqua livida assorbe.
Tre volte al giorno la vomita e tre la riassorbe
  paurosamente. Ah che tu non sia là quando assorbe!

 

Virgilio (Eneide III 420-23)

“Il fianco destro di Scilla, il sinistro Cariddi implacabile tiene, e nel profondo baratro tre volte risucchia l’acqua, che a precipizio sprofondano, e ancora nell’aria con moto alternale scaglia, frusta le stelle con l’onda"